C’è qualcosa di magico e irriverente in Via della Donna Seduta.
Qualcosa che ci attrae verso di lei, laggiù, in fondo alla strada, per parlarle o porgerle una sola domanda. E che lei risponda o no, a volte non fa nessuna differenza. Quel che conta è approssimarsi a ciò che lei rappresenta. Starle accanto, anche solo per un attimo, a respirare della sua stessa aria fatta di humour disincanto e ferocia. Ma eccoci davanti a lei, dunque. Mentre sentiamo il fruscio del serpente che si allontana dopo averle parlato. Chissà cosa le ha chiesto. O confessato. Questo rettile che come il topo, il lupo e la bambina si nutre dei suoi oracoli. Dei suoi ghigni che tagliano e affettano ogni forma di potere. Ridicolizzandolo senza bisogno di metterlo a nudo. Lasciandolo anzi en travestì, perché è così che lei si diverte. Che innesca la risata sovversiva. Incitando a ridere di tutto, anche di paura e sofferenza, di odio ed egoismo, ma anche del fatto che niente, meglio di una macchia di sangue, magari sputata in un fazzoletto bianco, fa risaltare una battuta.
Per questo la Donna Seduta incarna lo spirito della crudeltà comica.
Con quell’insolenza e distacco derisorio con cui ci sussurra
“Sapete? Il peggiore nemico di una donna sono quasi sempre le altre donne”.
“Non eravate più abituati alla morte, eh? State di nuovo innanzi alla precarietà della vita”.
Eppure, da queste boutade di verità frutto di arielesca anarchia, raccogliamo quel pizzico d’amore che ci aiuta a resistere.
Perché in fondo è questo che ci dà la Donna Seduta di COPI, insieme a tutto il suo teatro – la forza di aggrapparci a una piuma come fosse l’ultimo appiglio concesso contro l’ipocrisia, l’arroganza, l’ignoranza dilagante, il rapido e costante adagiarsi al BRUTTO. E questo nonostante i suoi personaggi subiscano continuamente perdite, mutilazioni, cambi di sesso e di identità, violazioni, oltre a ogni genere di sopraffazione. Oh, non spaventatevi di questo sparo improvviso. Si sente ogni giorno, qui in Via della Donna Seduta. Proviene da quella finestra lassù, dalla stanza di Cyrille. Sono due anni che è malato, e ogni giorno spara al virus che sta in lui. Non prima di aver detto all’infermiera che lo assiste di smetterla di parlare come un omosessuale.
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